Perchè l’amore è duro come la morte

Carmela non è granché come nome. Credo che i miei lo trovassero consueto, rassicurante, carico di chissà quali memorie, e io con loro non ho mai avuto il coraggio di lamentarmene. Ma dentro di me lo associavo al mio sovrappeso: tutti e due ingombranti, fastidiosi, specialmente se incontravo ragazzi interessanti. Lo stesso mio cognome, Solimano, lo consideravo un marchio. Mi evocava carnose femmine velate, apprezzate abitatrici di harem, beate loro. Ora le ostento, me le coccolo tutt’e due, pinguedine e Carmela. Tanto più che, da quando al commissariato è arrivata Sue Ellen Giorgini, emaciata ispettrice, sono addirittura fiera del mio vetusto popolaresco nome e consapevole del suo valore civile contro il dilagare della barbarie.

Una galleria di ritratti. Un campionario di umanità della “provincia” italiana, sul filo mobile e inafferrabile di una vicenda gialla. E, da aggiungere, l’astuzia di un racconto essenziale, di raffinata abilità – che insegue, aggroviglia o dipana storie e, nel gioco di imprevedibili combinazioni, mette a nudo più oscuri e insolubili grovigli: quelli dell’anima. La varietà dei casi e delle situazioni trova unità nell’umanità della “voce narrante”, interna al racconto, della commissaria di polizia che conduce le indagini. Il piccolo mondo indagato penetra nella sua coscienza, produce emozioni, attenua nevrosi, si incrocia con la sua “privacy” – e si impone come dato esperienziale, spaccato di società, su cui si esercita non solo l’acume professionale del poliziotto, ma soprattutto l’umana intelligenza della vita. L’indagine, condotta per dovere d’ufficio, assume via via il senso di un percorso di conoscenza. Diventa una progressiva “discesa agli inferi” delle zone buie dell’esistenza. E ne riemerge, lentamente, con l’amara sensazione della vita come labirinto, intreccio magmatico e ingovernabile di amore e odio, di bene e male, di dolori inferti e subiti nell’unità del gesto, di compresenza inestricabile di innocenza e colpevolezza, per cui sempre, a diversi livelli, ognuno è insieme vittima e carnefice, torturato e torturatore – per inconsapevolezza, delirio o necessità.

<<Al diavolo! Io faccio la poliziotta, mica l’analista. Mi avevano detto: da una parte ci sono i cattivi che vanno arrestati, dall’altra i buoni che vanno tutelati. Tutto era semplice, chiaro, lineare. E invece mi ritrovo in uno stramaledetto intrico di amori, sofferenze, rancori, follia; situazioni che ti si contorcono sotto gli occhi come bisce: i colpevoli trasudano amore, gli innocenti perfidia>>. 

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